DECEMBER 1: World Heads of State pose for a group photo at Al Wasl during the UN Climate Change Conference COP28 at Expo City Dubai on December 1, 2023, in Dubai, United Arab Emirates. (Photo by COP28 / Mahmoud Khaled)

Editoriale

Tutti i leader mondiali alla Cop28 di Dubai hanno sentito l’intervento chiaro e forte di papa Francesco, letto dal cardinale Pietro Parolin: un’analisi precisa e un appello accorato per non perdere altro tempo. Ma chissà quanti l’avranno “ascoltato” e quanti saranno disposti a metterne in pratica i suggerimenti, vitali per la sopravvivenza del pianeta e dell’umanità. “Ascoltiamo il gemere della terra – ha supplicato il papa -, prestiamo ascolto al grido dei poveri, tendiamo l’orecchio alle speranze dei giovani e ai sogni dei bambini! Abbiamo una grande responsabilità: garantire che il loro futuro non sia negato”. Stigmatizzate l’ambizione di produrre e possedere sfociata in “un’avidità senza limiti” e la conflittualità tra Paesi che privilegiano i propri interessi rispetto al bene globale, il papa ha indicato come vie d’uscita un autentico “multilateralismo” in orientamenti e decisioni, fondato sulla fiducia reciproca, un efficace “cambiamento politico” uscendo da particolarismi e nazionalismi.

“Ascoltiamo il gemere della terra – ha supplicato il papa -, prestiamo ascolto al grido dei poveri, tendiamo l’orecchio alle speranze dei giovani e ai sogni dei bambini! Abbiamo una grande responsabilità: garantire che il loro futuro non sia negato”. Papa Francesco

Serve un vero cambio di passo, è urgente una “decisa accelerazione della transizione ecologica”, delle cui forme e norme Francesco indica tre caratteristiche imprescindibili: “efficienti, vincolanti e facilmente monitorabili”; e i cui campi sono ben chiari: l’efficienza energetica, le fonti rinnovabili, l’eliminazione dei combustibili fossili, l’educazione a stili di vita meno dipendenti da questi ultimi”. Solo una “buona politica” può rimediare all’attuale grave situazione, superando controproducenti divisioni tra catastrofisti e indifferenti, ambientalisti radicali e negazionisti climatici. Dopo i primi giorni dei leader ora segue il periodo dei tecnici fino al 12 dicembre per definire i nuovi impegni a livello globale.

Chissà, dicevamo, se tutti ascolteranno l’appello di papa Francesco e gli interventi non meno chiari e decisi di altri, ben consapevoli del precipizio su cui ci siamo portati e convinti che occorre fare marcia indietro. Non pare l’abbia ascoltato proprio il presidente della Cop28, l’emiratino Sultan Al Jaber (tra l’altro amministratore delegato della Compagnia petrolifera degli Emirati arabi, ADNOC!) che paventa il “ritorno alle caverne”, tacciato dal segretario dell’ONU Guterres di “negazionismo climatico”. Ma poi il presidente ci ha ripensato, rivendicando anzi con orgoglio i passi già compiuti nei primi quattro giorni: progressi per aiutare i Paesi più poveri contro i danni climatici; sostegno all’agricoltura, impegno alla riduzione di CO2… Nell’edizione COP28 – che si proponeva di accelerare la transizione energetica, definire il finanziamento per il clima e mettere la natura, le persone, la vita e i mezzi di sussistenza al centro dell’azione per il clima, puntando sulla inclusione – per la prima volta si è dedicata una sessione anche alla questione “salute” collegandone il deterioramento alla questione ambientale e climatica: il riscaldamento globale infatti aumenta la diffusione di colera e malaria e le ondate di calore diventeranno rischio di morte per 21 milioni di persone nel 2050, mentre già oggi 7 milioni di decessi sarebbero dovuti all’inquinamento.

L’Unione Europea, dal canto suo – come ha messo in risalto il presidente del Consiglio UE Michel – , sta dandosi da fare su tutti i fronti, diventando modello di riferimento: ha ridotto del 30% le emissioni rispetto al 1990 e punta alla neutralità climatica, è determinata a triplicare le energie rinnovabili e a raddoppiare l’efficienza energetica con l’obiettivo di porre fine quanto prima alla dipendenza dai carburanti fossili. Resterebbe per tutti l’obiettivo dell’Accordo di Parigi del 2015 di mantenere entro 1,5 gradi per il 2030 (e a zero nel 20250!) il riscaldamento globale rispetto all’epoca preindustriale. Ma intanto i Paesi ricchi continuano a finanziare nei Paesi poveri progetti fondati sull’energia fossile, anziché sostenerne la transizione energetica.

Ci sono di fatto due problemi fondamentali: quali e quanti Paesi saranno effettivamente disposti a rinunciare all’ambìto “progresso” economico non ancora raggiunto; e quali e quanti cittadini, fra quanti l’hanno raggiunto, noi compresi, sono disposti a rinunciare ai tanti vantaggi acquisiti? Ma proprio per questo bisogna accelerare e sancire il cammino verso una “liberazione” del pianeta e dell’umanità intera.

Vincenzo Tosello