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Cultura

ARTE E STORIA NELLA CHIESA DI S. DOMENICO A CHIOGGIA

Serafino Razzi nell’ottobre del 1572 così descrive il convento di S. Domenico di Chioggia. “Quanto al convento, egli è cinto da tre bande dal mare e per piccolo che sia, si vede che nel dormitorio, nella libreria e nell’altre officine egli doveva essere ben accomodato; ma essendoci stati quest’anno i soldati, i quali anche tra loro si ammazzano, egli è mezzo rovinato e si trova senza molti usci e finestre da loro abruciate, onde hora non si può ire la notte attorno con lumi – fuori di lanterne – peroché tutti sono spenti dal vento”. Chi fossero i soldati lo indica il Morosini nella sua Storia di Venezia al libro XI pag. 521 “Molte coorti si radunavano in Chioggia di circa 5.000 soldati tra cui Sciarra Martinengo”. Vi fu poi a Chioggia una baruffa tra i soldati francesi arruolati dal Conte Sciarra Martinengo e quelli italiani di altri colonnelli, la quale degenerò in un vero combattimento con la morte di 120 uomini e del Conte Alessandro Ragone. F. Sansovino ci informa che “…il Conte Alessandro Ragone fu fatto dalla Repubblica Veneta colonnello di mille fanti, mentre che s’apparecchia per il Levante, levatosi un tumulto militare in Chioggia fra soldati francesi del Conte Sciarra Martinengo fu sventuratamente ammazzato” (Origine e fatti delle famiglie illustri d’Italia). Chi era il conte Sciarra Martinengo? Di Giorgio qd. Cesare II detto “il superbo italiano” e frutto del libero amore con una sconosciuta che il Rossi dice “nobilissima et principalissima donna”. Fu paggio di Enrico II re di Francia e a 18 anni cavaliere dell’ordine di S. Michele. Compiuta la sua formazione alla corte di Francia fu colonnello di fanteria, poi ebbe il titolo di Capitano Generale e prese parte a molti fatti d’arme, all’assedio ed all’espugnazione di parecchie fortezze. In mezzo a queste gravi occupazioni, appena ebbe notizia della morte violenta del padre, meditò la vendetta e non tardò ad effettuarla. “Passò volando, scrive il Rossi, da monti” ed entrato in Brescia, spalleggiato da nove “nobilissimi soldati” quattro francesi e cinque mantovani, assalì sulla pubblica piazza il conte Luigi Avogadro che per un colpo di fortuna riuscì a salvarsi. Venne ucciso invece un altro Avogadro. Il fatto suscitò viva reazione in città per cui il Martinengo cercò la via di scampo per Porta S. Nazaro, ma, fermato da un alfiere del corpo di Guardia, lo uccise e, impedito di uscire dalla porta, trovò in città un sicuro nascondiglio mentre cinque dei suoi scherani (tre mantovani e due francesi), catturati dagli sbirri, vennero impiccati senza processo. Bandito dal governo veneto, Sciarra Martinengo si rifugiò in Francia ove servì Enrico II. Dopo altre avventure e duelli, nel maggio 1570 offriva «con carica o senza et dove più piacesse al Serenità del Principe» il suo braccio alla Repubblica nella guerra contro i Turchi. L’offerta venne accettata e liberato dal bando. Nella difesa di Dolcigno, attaccato da terra e da mare dovette arrendersi. Stava per esser giustiziato quando nel levargli l’armatura fu scoperto il collare dell’ordine di S. Michele. Saputo che si trattava di onorificenza francese il capitano dei Turchi (che erano in segreto idillio con la Francia in odio alla Spagna) lo abbracciò e lo dichiarò libero. Dopo aver rifiutato di mettersi al servizio dei Turchi tornò a Venezia e combatté a Lepanto. Il conte Sciarra abbandonò più tardi il servizio della Repubblica veneta per riprendere nuovamente il suo posto in Francia. Morì nell’aprile 1577, nell’assalto della fortezza Charité. Paolo Guerrini definisce il testamento “nobilissima testimonianza della sua fede e della sua generosità veramente cavalleresca”. Il Guerrini non ha dubbio poi nell’indicarlo come «uno dei più famosi guerrieri usciti dalla illustre casata dei Martinengo». Il Moretto (Alessandro Bonvicino, Brescia 1498-1554) gli ha dedicato un ritratto oggi esposto nella National Gallery di Londra. Confrontando il cavaliere del quadro del Damini (1592 -1631) a sinistra entrando in chiesa S. Domenico a Chioggia e il ritratto del Moretto (1498- 1554) si nota che il cavallo del Damini porta le insegne dell’ordine di S. Michele e la netta somiglianza dei volti dei due personaggi.

Luciano Bellemo