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Economia

Il vero problema non è più quello dei prezzi, ma ancora una volta della capacità di capire il cambiamento e saperlo sfruttare

L’inflazione è un cane che morde le caviglie di ogni cittadino, ma fa particolarmente male ai meno abbienti o a chi non si può difendere in alcun modo: si pensi in particolare ai pensionati, molti dei quali campano con redditi da sussistenza. Questi ultimi due anni hanno portato ad un generale impoverimento del cittadino italiano: sostanzialmente l’inflazione ha scalfito un 10-15% del tenore di vita di ciascuno di noi.
Evitiamo di generalizzare perché la crescita dei prezzi è stata disomogenea: chi va spesso dal benzinaio ha sofferto di più di chi gira in bici, per dire. Ora il carovita sta calando (drasticamente nell’ultimo mese), ma nel frattempo ognuno di noi ha adottato delle strategie di contenimento del danno.
Se nei trasporti, appunto, l’unica strada percorribile è stata la… rinuncia (un viaggio in meno, un volo in meno, un mezzo più economico per spostarsi), al supermercato i dati dicono che la strategia è stata duplice: un po’ meno prodotti nel carrello (e grande attenzione a sconti e promozioni); una crescita dei prodotti private label, cioè marchiati direttamente dalla catena distributiva, generalmente meno costosi degli altri.
Lo dicono appunto le cifre raccolte dalla Nielsen. Lo specifica ancora di più un dato. Le linee di prodotti “aziendali” normalmente sono due: quelle “base” che guardano soprattutto al prezzo, e quelle premium, più attente alla qualità del prodotto e alla provenienza (normalmente più care). Sono cresciute le prime (+37,5% in un anno) molto più delle seconde (+2,8%).
Dal caro-energia – che ha colpito sostanzialmente tutti – ci siamo difesi ottimizzando i consumi, comunque riducendoli: nel 2023 c’è stato un crollo del consumo di metano in Italia, non dovuto solo ad un anno molto caldo. Dentro questo ambito ci stanno le forniture tutelate, quelle che lo Stato ha bloccato a certe tariffe per evitare i bruschi rialzi degli ultimi due anni.
In realtà i mercati di elettricità e gas in Italia sono liberi, si può andare con qualunque fornitore e cambiarlo a piacimento. Ma lo Stato ha voluto estendere la protezione dal libero mercato a quelle fasce più esposte ai marosi dello stesso. Una protezione che terminerà nei prossimi mesi (è molto costosa per le casse dello Stato), e non è detto che sia un male perché nel frattempo i prezzi sono scesi (di molto) e nel libero mercato si possono trovare offerte più vantaggiose per i consumatori.
Quindi il vero problema non è più quello dei prezzi, ma ancora una volta della capacità di capire il cambiamento e saperlo sfruttare. Che è massima nei più giovani, dei veri “mostri” nel saper surfare tra le proposte – ad esempio – dei gestori telefonici. Che è minima nei più anziani: hai voglia di dire loro di navigare in internet e di consultare quel sito che mette in chiaro tutte le offerte energetiche…
Hai voglia di capire le proposte stesse: per esperienza personale abbiamo esaminato con la cura di un notaio un contratto di fornitura apparentemente vantaggioso, con clausole così fitte e scritte così in piccolo che il 99% dei consumatori non avrebbe avuto la capacità né di capire (il Pun e lo spread sullo stesso? La vera tassazione della materia prima? I costi “connessi” e il dispacciamento?), né di aggregare i dati per arrivare al vero esborso.
È servito un pomeriggio intero per venire a capo della fregatura.

Nicola Salvagnin