Editoriale

I nostri stipendi del 2024 valgono almeno il 15% in meno di tre anni fa. E non è solo avarizia aziendale

La locomotiva Italia sta vistosamente rallentando. La crescita del Pil dell1% appare traguardo difficilmente raggiungibile, e pure non sembrerebbe gran cosa. Torniamo in linea con i decenni passati di stasi economica, dopo la fiammata di crescita post Covid. Un risultato negativo sotto molti punti di vista, ma non quello occupazionale, stando ai recenti dati forniti dall’Istat.

L’occupazione cresce, così come crescono i contratti di lavoro a tempo indeterminato e, novità attuale, pure quelli a tempo determinato: in passato, o gli uni o gli altri. L’Istat fornisce tanti altri dati: su tutti, spicca quello sul numero di lavoratori italiani che guadagnano fino a 10 euro l’ora. Un quantitativo “industriale”, con i soliti corollari (paghe più basse per i giovani, i meridionali, le donne). Né risulta che nuovi contratti collettivi – di categoria o aziendali – abbiano incrementato di granché le retribuzioni falcidiate dalla recente impennata dell’inflazione. Parliamoci chiaro: i nostri stipendi del 2024 valgono almeno il 15% in meno di tre anni fa.

È vero, certe banche hanno dato segno di generosità nei confronti dei dipendenti – e ci mancherebbe altro, con la tonnellata di utili che hanno raccolto in un paio d’anni! –; in generale si pagucchia qualcosa di più, soprattutto per attrarre personale o per non lasciarselo scappare. Lo Stato passerà qualche euro aggiuntivo ai suoi lavoratori. Ma in generale, stipendi fermi.

Non è solo avarizia aziendale. Politiche governative hanno un po’ ridotto la tassazione dei redditi da lavoro, permettendo piccoli aumenti in busta paga; si sono allargate le maglie defiscalizzate delle gratifiche di fine anno. Ma se per dare 50 in più bisogna spenderne 100, è chiaro che si preferisca attivare circuiti “collaterali” di gratifica dei lavoratori.

Due in particolare: il primo si riflette sul buon dato occupazionale. Insomma, si contrattualizza di più usando il contratto come una forma di promozione economica, facendo passare il lavoratore dall’incertezza e dal precariato, alla stabilità. E oggi conviene, in un mercato in cui la domanda di lavoro si sta facendo più scarsa, almeno al Nord.

Il secondo è innovativo e avrà lunga strada. Si tratta di rimodulare l’orario di lavoro venendo incontro alle esigenze e alla qualità di vita dei lavoratori. Non solo part time o flessibilità maggiore, ma anche l’accorciamento della settimana lavorativa a quattro giorni, con una diversa organizzazione del lavoro aziendale. Succede nel gigante dell’occhialeria Luxottica e nel gioiello della meccanica Lamborghini. Non risultano problemi di produttività, anzi: dipendenti più contenti e meno invogliati ad andarsene da aziende che li trattano bene. I sindacati prendano nota.

Nicola Salvagnin