Economia

La situazione previdenziale in Italia è assai variegata, è impossibile stabilire un filo comune per tutti gli italiani

La realtà è che si possono pure promettere mari e monti, ma poi bisogna fare i conti con… la realtà. E in tema previdenziale questa verità è granitica. L’Italia spende il 17% del suo Pil in previdenza; ha una popolazione in progressivo e rapido invecchiamento; rischia di avere – nella seconda parte del secolo – un lavoratore per ogni pensionato. Oggi siamo a tre per uno. L’uno-a-uno non regge.

In realtà nessun sistema previdenziale regge ad una simile sfida, a meno di tagliare brutalmente altri servizi pubblici come la sanità o la scuola. Pertanto da tempo (dalla riforma Dini del 1995 in poi) è stata progressivamente innalzata l’età media di chi va in pensione. Con una brusca impennata nel 2011, con la cosiddetta legge Fornero che alzò l’asticella di 6-7 anni in un colpo solo.

La situazione previdenziale in Italia è assai variegata, è impossibile stabilire un filo comune per tutti gli italiani. Oggi l’età media di pensionamento sfiora i 62 anni, l’obiettivo è quella di portarla a 65, situazione ormai comune a moltissimi Paesi occidentali.

Le forze dell’attuale maggioranza avevano promesso in campagna elettorale addirittura di abbassare quella soglia (un recente governo lo ha fatto, provocando un bel buco nei conti pubblici). Arrivate queste forze al governo, nella recente legge di bilancio hanno intrapreso la direzione opposta. Niente di brusco, per carità; ma tutta una serie di misure che alzano i requisiti e tagliano le prestazioni. Se appunto si vuole tenere in equilibrio il sistema, non c’è altro da fare.

Ma parliamoci chiaro: è proprio questo sistema che ha gli anni contati. Dal 1996 vige in Italia il sistema contributivo: riceverai in proporzione a quanti contributi avrai versato. Sembra normale, ma per decenni lo Stato ha sostanzialmente “regalato” assegni pensionistici a milioni di italiani.

Quel cambiamento di metodo sarà la chiave delle pensioni future: un rapido calcolo del computer parametrerà i versamenti contributivi con l’età del richiedente, considerata la speranza media di vita. Insomma: se vai domani in pensione, avrai tot euro al mese. Va bene? No? E allora continua a lavorare.

Ecco, quella sarà la futura “età pensionabile” dei ragazzi di oggi. Perché le attuali regole prevedono che i ventenni potranno andare in pensione quando avranno superato i 71-72 anni d’età. Sarà più logico considerare le posizioni di ciascuno, considerando che quasi nessuno oggi inizia a lavorare in un’azienda subito con contratto a tempo indeterminato, e rimarrà lì fino alla pensione…

Nicola Salvagnin