caracca, disegno di memmo

Cultura

Raccontati da Mario Tobino e Augusto Benemeglio

Conosciuto come Teofilo Folengo (o con lo pseudonimo Merlin Coccajo, o Cocai), nato a Mantova nel 1491 è stato tra i principali esponenti della poesia maccheronica. Figlio di un notaio, fin dalla sua infanzia mostrò un’intelligenza vivace ed una notevole abilità nel verseggiare. All’età di sedici anni entrò in monastero e diciotto mesi dopo fece parte dell’ordine benedettino. Nel 1524, in crisi, abbandonò la vita monastica per una giovane donna di buona famiglia con la quale vagabondò in varie città italiane, spesso in condizioni di grande povertà, avendo come unica fonte di guadagno la sua abilità nel comporre versi. Al termine di questo periodo “scapestrato”, Folengo chiese ed ottenne, nel 1530, di essere riammesso nell’ordine religioso. La sua prima pubblicazione fu il Merlini Cocaii macaronicon, che narra in latino maccheronico le avventure di Baldus, un eroe fittizio. La ruvida buffoneria di questo lavoro è spesso risollevata da stralci di genuina poesia, come da descrizioni vivide ed acute di critica alla società ed alle sue abitudini, come il porto di Chioggia del 1500. Cocaii macaronicon conquistò una vasta popolarità ed in pochi anni venne ristampato in numerosissime edizioni. Folengo poi è frequentemente citato e molto più spesso copiato da François Rabelais. …Come entra nel porto di Chioggia, subito prende prudentemente in mano dalla tasca la borsa dei denari, perché non gli sia tagliata di nascosto: questa è una caratteristica, una specifica dote, di quella popolazione. Ut fuit in portu Chiozae,cito brancat acortus de tascha in griffas borsam, ne fraude taietur. Illius est gentis sic dos, genuinaque virtus. Trova là, ferma all’ancora, una caracca di mole immensa, che, panciuta, stazza sei mila botti. Questa si prepara ad andare in Turchia, carica di molte cose, non appena le si offra il vento favorevole. Immediatamente chiama il capitano e gli promette di pagare con buona moneta se lo vuol condurre in Turchia, con tre compagni e altrettanti cavalli. — È una cosa difficile — risponde il marinaio, — perché tra poco verranno trenta pecorai tesini, di quelli, voglio dire, che hanno una grande quantità di pecore e, pieni di pane di miglio e di polenta grassa, stanno per caricare questa nave di pecore tesine. Alla fine pagando il doppio il capitano accetta. Così, trottando alla francese verso il mare, arrivano alla banchina dove sosta la grandissima “barza”, che in verità non sembra una “barza” ma una rocca sull’acqua. Là mercanti, parte turchi e parte tedeschi, sono intenti a caricare il marano con le proprie merci. Là puoi vedere anche mille facchini portare a gara per sei marchetti carichi da asino: tanta ingordigia di guadagno li rende pazzi. Per la maggior parte i facchini sono bergamaschi; non dico i bergamaschi che abitano nella città di Bergamo, dei quali è ben nota la grande saggezza, ma quelli che, pasciuti di castagne e di paniccia, la montagna di Clusone manda in tutto il mondo. Non portano assolutamente nulla con sé quando vengono giù, quando invece tornano su, oh! quanta roba portano ammassata sulle spalle robuste! Sono uomini bassi, grassi, grossi di sedere; hanno il petto coperto di pelo folto…Mangiano ottanta once di formaggio grasso per ogni pasto, per questo stanno saldi sui piedi, perché col mangiare formaggio rafforzano la schiena. «Il formaggio ingrossa l’intelligenza». Però questa massima si dimostra errata nel caso dei nostri facchini: sono forse essi incapaci di difendere le proprie cause? Un vermocan detto da una bocca bergamasca è più efficace delle cento chiacchiere di cui abbonda un fiorentino. Non c’è paese che non sia pieno di facchini; dappertutto ci sono mosche, dappertutto frati zoccolanti e allo stesso modo vedi abitare facchini dappertutto. Non c’è altra popolazione che lavori nell’arte del facchinare, i facchini sono esclusivamente della razza bergamasca. Risiedono nelle abitazioni dei nobili e trovano frequentemente la maniera di entrare nelle grazie ora del padrone, ora della padrona. Là dunque i facchini si danno da fare per caricare la nave e portano pesi che un cammello porterebbe appena.”.

(Traduzione dal Latino Maccheronico). 

Teofilo Folengo dal Baldo libro XII.

L. Bellemo

Nella foto: una “caracca” veneziana del 1500 (detta anche “barza”), disegno di Dino Memmo.